Due chiacchiere con Maria Antonietta infermiera in hospice dal 2012, ma nelle cure palliative da sempre, che ci racconta brevemente quali sono le sue opinioni su un lavoro così difficile ma anche così appagante.
D. Secondo te i giovani studenti dovrebbero seguire un percorso in cure palliative? Tu lo consiglieresti?
R. Il maestro arriva quando l’alunno è pronto… Un giovane dovrebbe approcciarsi alle cure palliative nella misura un cui si sente pronto. Secondo me se una persona è predisposta e vuole approfondire, sicuramente dovrebbe intraprendere questo percorso. Il mio consiglio è che vi si dedichi chi è già orientato verso questo tipo di disciplina perché, da un punto di vista umano, relazionale e in termini di esperienza significa andare oltre quella che è la cura classica. Vuol dire cioè imparare e fare qualcosa in più rispetto a una formazione specialistica canonica centrata sull’aspetto prettamente clinico, vuol dire essere disposti ad aprirsi all’altro.
D. Cos’è per te la dignità della vita?
R. Per me è la dignità della persona, dignità di assistenza, di una morte senza dolore e di un percorso assistenziale senza strumentalizzazioni. Dignità è considerare il paziente come essere umano nella sua totalità, senza frammentare i suoi bisogni, è conservare di lui una visione olistica di persona, in tutti gli ambiti.
D. Cosa ti lascia l’esperienza all’Hospice come persona e come professionista?
R. Io non riesco a scindere tra persona e professionista, perché un professionista è una persona e una persona è un professionista. Sicuramente, la cosa più difficile è approcciarsi con quei pazienti che sono spesso molto provati e molto sofferenti e non solo per cause fisiche ma per dolori che magari si portano dentro da prima: ci sono vite molto travagliate indipendentemente dalla malattia.
Come professionista trovo molto gratificante sentirmi utile soprattutto laddove si pensa che nel fine vita non ci sia più niente da fare. Come persona trovo appagante la gratitudine: ci sono persone che in qualche modo ti ricompensano apprezzando il tuo supporto, il tuo approccio umano, la tua disponibilità, tutto quello che ti sei impegnata a fare per loro.
Anche se la mia attività è gratificante, a volte, può essere però faticosa e difficile. L’aspetto positivo di un lavoro come il nostro è tuttavia che non si è mai da soli e che vi sia la condivisione con i colleghi. Per poter assistere pazienti inguaribili è necessario infatti avere alle spalle un’équipe multidisciplinare e, da un punto di vista umano, la condivisione è utile per alleggerire le fatiche quotidiane.